Sicché mi tocca. Come al solito: tracotante lunghezza e note a fondo pagina. (Sì Butel 2 lo so che un giorno di questi m'ammazzi).
Di questa settimana la mia lontananza dal blog(1), causa impegni personali e bla bla bla(2). Ho seguito ad ogni modo gli sviluppi anche dalla mia torre d'avorio(3), fuori dalle mura di Verona. Noto peraltro che: 1- non è andato a puttane; 2- Frut 1 è uscito dal suo periodo ermetico(4); 3-Butel 2 ha utilizzato il logo di "Kill Spritz" così, a casaccio, per il post di cui sotto.
Procedo con analitica suddivisione(5).
Kill Spritz
Ne riparleremo presto, ne trarremo una sorta di iniziativa o contest in extremis. Oltre a degli stickers bellissimi che allieteranno il lavoro delle donne delle pulizie in ogni bagno di questa maledetta città. Iniziamo con un annuncio teaser, ad ogni modo:
"I butei sapevano che prima o poi sarebbe giunto il loro momento...
ai cagoni già era costata cara....
ora restavano solo loro...
l'incosciente e impenitente spritzare dei butei in Piazza a suon di saluti-pacche sulle spalle non sarebbe potuto continuare in eterno...
Spritz e la sua Butei-squad avevano i giorni contati..."
...to be continued.
Tentativo di fuga 71
Ecco dove mi sono riparato questa settimana: nella "ridente" Milano, motore e traino economico italiano, nel "ricco" lumbard(6). Per lavoro, quindi costrizione, s'intende. Ué, figa(7), cioé un tour de force lavorativo, in centro nonchè nell'hinterland.
Insomma, un post milanese a quanto pare; ma nemmeno troppo: non si lasceranno sfuggire le somiglianze con certi ambiti lavorativi scaligeri.
Partenza in mattinata, lunedì. Ed eccola lì, l'occhio scorge Milano. Bella come sempre: unta, sporca, inquinata, crema de la creme ambientale. Ma Milano è una città che non ha mai cercato di essere né sembrare bella, quindi passiamo oltre.
Terminati gli appuntamenti di lavoro del giorno, giravo per i fattaci miei la blasonata Milano by night in compagnia alternata di alcuni cummenda del posto o fighe milanesi. Le quali, anzitutto, non hanno marcatissime differenze intellettuali con quelle veronesi (a parte accenti e intercalari vari: a ognuno il suo), ma sono spesso e volentieri più gioviali e predisposte alla conversazione. 1-0 per la fighetta milanese (vabbè, facile direte voi: la fighetta veronese perde sempre).
Che poi, chiariamo subito: a Milano tutti vi lavorano, tutti vi vivono durante la settimana, nessuno è di Milano. Durante i propri incontri a cena o nei locali la domanda più gettonata resta infatti: "Di dove sei?". Quando ho risposto: "La Piazza" si sono levate facce straniate. Il concetto di Piazza a quanto pare sopravvive alle Colonne (S. Lorenzo) e a Porta Garibaldi. Ma nemmeno eccessivamente. Insomma, tutti la "sognano" (chi vi lavora, chi vi studia, chi vi vive a tempo determinato, chi vi scopa), ma in fondo fondo, Milano fa proprio cagare ai molti.
Comunque, sì! Ero fuori luogo, l'aria veronese era lontana.
In apparenza.
Bestiario lavorativo milanese
Ovvero, excursus circa le figure mitologiche dell'ambiente lavorativo milanese. Torniamo infatti al quid. Mi trovavo a Milano per lavoro, si diceva. Quale lavoro? "La Piazza".
Sono stati diversi gli incontri con segretarie, dipendenti, consulenti e managers più o meno avvenenti. In buona parte mi è così possibile tipizzare e dettagliare alcune tipologie ricorrenti.
Osservazione preliminare: il milanese e il lavoratore milanese, cioè la persona e il personaggio che porta il guadagno per la persona, sono la stessa cosa. Difficilmente il milanese medio che ho incontrato separa la vita personale dal lavoro (resto ancorato alla Milano che lavora: uè figa, loro fanno lavori della madonn, mica si possono perdere opportunità produttive per colpa di un aperitiv).
Seconda osservazione: non ho mai capito se fosse dialetto (propendo per il sì), ma il milanese usa e perservera in quel fastidioso intercalare: ogni periodo si propone con "Uè", termina con "figa" e non disprezza i vari titoli d'onorificenza "dott.!", "avv.!", "ing.!" fino al più mite "commendatore" o "cummenda" a seconda delle preferenze. Ma non finisce qui.
Terza osservazione: oltre a quello ambientale del suo particolato, Milano è vittima più di altre città dell'inquinamento linguistico anglosassone, che sul lavoro trova la propria Eldorado. E allora vai con inclusioni markettaro-amatriciane in ogni frase a legittimare la propria professionalità: "advertising", "push", "mark-up", ecc. fino ai più comuni "flow chart", "conference call" senza mai dimenticare gli onnipresenti "meeting", "target" e "business" ("fare business", "creare business", "essere business" - eh sì eh, queste sono aspirazioni, essere business...) nonché imbarazzanti coni quali "single side" per descrivere l'unilateralità di un'azione marketing (ero spiazzato, amemtto).
Iniziamo.
n.b. quando metterò il più + le mie risate e la mia pazienza stanno per esplodere.
La segretaria: tradizionale (leggi: schiava) o centralinista (schiava insieme ad altre). Generalmente non esibisce prelibati titoli di studio, ragion per cui "m'han fatto segretaria, merda" (gli altri, lei non si assume responsaibilità in merito). E se questa non è certo una colpa, non si può dire ch'ella cerchi una qualche forma di riscatto: no, a lei va bene così, stress e frustrazione per un lavoro insoddisfacente e via così. Quella per intenderci che fa parte del famoso cluster "commesse", che si sollazza a casa con reality show e letture romantiche (Harmony), che vede lo stipendio come forma di sostentamento necessario ai propri divertimenti e del lavoro se ne fotte, senza tuttavia essere epicurea quindi aver trovato la felicità. Quelle che ho incontrato mi hanno colpito per incompetenza e incapacità discorsivo-descrittiva. Vediamone una: "Salve, sono Butel 1, ho un appuntamento con xxx" e lei "Provo a sentire, così provo a vedere se c'è, che magari provo a capire se viene a prenderla; se no provo a darle un badge"; Butel1: "Provi". Dopo venti minuti d'attesa, scopro il nulla di fatto: "Mi scusi, ha provato?"(+). Altri venti minuti e incontro il mio appuntamento per i corridoi: all'oscuro del mio arrivo, nessuno aveva provato ad avvertirlo (++).
Ma va a cagher!
Il consulente: ogni super-consulente lavora o quanto meno si muove a Milano. Per la cronaca, il consulente esibisce un'ottima formazione (accademica) e diversi precedenti lavorativi in società più o meno da sti'cazzi e mette entrambe a disposizione di un terzo cliente. In sostanza, il consulente è uno che arriva in azienda(8) e rompe i coglioni a tutti, perchè è il suo lavoro, perchè se no non lo pagano (e lui non scarica) e al termine del meeting è meglio che si levi dalle palle se no i dipendenti lo linciano. Abbronzato, giovanotto di trent-quarant anni, veste in maniera discutibile quanto la sua cultura extra-aziendale. Un esempio. Durante l'incontro, al quale si presenta con camicia quadrettona e 4 colori, gli può capitare di sottolineare che "Le osservazioni nella mia analisi sono frutto di uno studio combinato di due studi di consulenza associati e specializzati nel b2b". Pausa caffè, Butel1: "Senti ma stasera c'è mica qualche musical in giro?". Lui: "Cioè? N-non capisco..."(++). Butel 1:"...e insomma b2b si diceva...".
Ma va a ricagher!
Il manager: costui, una volta, era uno arrivato in alto, magari un ex arrivista giunto infine in cima al proprio percorso. Oggi tutti sono managers, ne consegue che chi si presente come tale, può perfettamente essere il pirla dell'anno che si vanta giusto un pò: se ti assumono come factotum del magazzino, sei il Logistics Manager; vendi un prodotto particolare (magari sei l'unico in azienda)? Sei il Product Manager. E così via. Caratteristiche del manager sono l'uso di un registro markettato ben studiato o per niente studiato e la insistente consapevolezza di essere qualcuno e di avere qualcosa da dire che si tramuti in ordine per i terzi. Tra le varie tipologie, il mio preferito di questi giorni è stato il Marketing Director, un manager che non ci pensa due volte, non si perde in discorsi: "Qua, ragazzi, bisogna fare business"(+), "Ok, ma se ci muoviamo così non si fa business"(++), "Allora, qua ora bisogna dare il push e tirare su un pò di business"(+++), "Il mercato consumer mi attira, ottima opportunità di business" (++++), "Figa, è un market group che non crea più business"(+++++), "Uè, ma ci rendiamo che il market share di questo secondo quarter è andato a puttane?" (++++++). Vi risparmio le scene da macchietta quali: presentarsi e contestualmente esibire il proprio lussuoso bigliettino da visita(9), squadrarti l'abito (per lui fonte evidente di invidia) e menartela sui soldi che ha fatto di qua e di la con citazione dal proprio parco macchine.
E va a stracagher!
Commendatore: tecnicamente, non esiste. Figurativamente, ogni milanese (come ogni veronese) medio è un pò cummenda dentro. Lo è un pò il consulente, lo è certamente il manager medio. Il cummenda è la trasposizione figurata del pirla col Cayenne. Il cummenda è punto di partenza e d'arrivo di ogni esibizionismo dell'uomo medio. Il classico cummenda è più o meno grasso, tonto e convinto di avere il meglio dalla vita (uno o più auto sontuose e visibili), dal portafoglio (qualche rata da pagare), dalla tecnologia disponibile (diversi cellulari bluetooth e portatili che, comunque, non saprà usare), fossilizzato all'interno delle sue mediocri abitudini perchè non conosce altro o non ha mai osato guardare altro. Ecco, a Milano il cummenda è un must: "Cioè, guardi Butel1, insomma lei pensi, che se io guadagno 100.000 € all'anno, che un pò me li investo in azioni, mi mantengo il Cayenne e la Smart, l'immobile, magari d'estate mi prendo lo yacht [in affitto] per andare in Sardegna, che poi anche le fighe costano insomma... beh ma secondo lei, uno che fa il manager cosa dovrebbe fare per sopravvivere oggigiorno, se non votare Berlusconi?"(+++++++++++++++++).
Non so perchè a questo non gli ho dato una ginocchiata nei coglioni.
Conclusione: Milano ha pro (moltissimi, ve l'assicuro, le serate durante la settimana sono spassose) e contro (molti altri). Quindi, Milano fa bene ogni tanto, a piccole dosi. Comunque spero di non diventare mai un cummenda. Nè a Milano nè a Verona. Dove, infine, sono tornato, strisciando. E siamo andati al Dancing Le Cupole. Sì, proprio li. Recuperemo la serata al prossimo post. Saluti.
Note:
1-Un altro tentativo di fuga fallito
2-Credevate fossi andato a puttane, eh? Ma butel1 lavora per mantenere questo blog e voi (Butel2, 3, Frut1)
3-Una stanza in piena periferia milanese al costo di un quadrilocale nel centro di Verona
4-Frut1 ha una formazione tecnico-scientifica: tutto ciò che non ha rigore e validità scientifica, ad esempio il linguaggio, viene da lui trascurato in toto
5-Un recento studio sui tempi di lettura medi dei miei post, dimostra che il lettore medio si scoraggia verso la metà, quindi conviene tagliarvi il tutto a fettine dandovi l'illusione che siano più corti
6-Mentre il Veneto, invece, è proprio povero...
7-Devo ancora liberarmi dal mio intercalare milanese; sono anche afflitto da un'insensibilità ad ogni esibizione pubblicitaria: Milano è tappezzata di spazi publicitari, ovunque, anche sotto il culo (mitico lo spazio pubblicitario di Armani con la scritta di alcuni ragazzi: "Giorgio, ti piacciono i graffiti?")
8-Il necessario luogo fisico che ingabbia ogni lavoratore, si veda la prima trilogia di Fantozzi a riguardo
9-a riguardo si veda la scena dei bigliettini da visita in "American Psycho" (2000, con Christian Bale, da un libro di Bret Easton Ellis)